giovedì 25 ottobre 2012

6 mesi di pasticci

Quindi oggi Alessandro compie 6 mesi. Cioè, passano altri 6 mesi e ci ritroveremo qui riuniti a celebrare la sua prima candelina, magari camminerà già, dirà anche qualche parola e esibirà felice un sorriso più dentato che non. 

Che poi dicevano "una donna capisce certe cose", quando deliravo nel panico delle ultime settimane di gravidanza e temevo che non avrei riconosciuto il momento in cui andare in ospedale per conoscere finalmente l'inquilino del mio pancione. Ebbene, quel 25 aprile in ospedale sono arrivata al momento giusto perché altri mi avevano fatto notare che quei dolori che mi avevano tenuta sveglia tutta la notte non erano coliche intestinali, che forse dovevo credere all'ostetrica del pronto soccorso che per telefono mi aveva detto che i sintomi che descrivevo sembravano quelli di un principio di travaglio e non l'ennesimo falso allarme. 

Dicevano "si capisce subito se una donna è in travaglio: di solito non riesce a camminare e a descrivere a voce che tipo di dolore prova". In pronto soccorso sono arrivata sulle mie gambe e da sola ho spiegato quello che sentivo. Peccato che spiegassi fandonie. "E' che ieri sono scaduta e adesso non sto bene, non credo di essere in travaglio ma arrivate a questo punto non si sa mai" il che nascondeva il mio reale pensiero che altro non era che "insomma, sono venuta qui perché altri mi hanno detto che ero pazza ad essere ancora a casa mezz'ora fa, non perché io ci creda veramente".

Ma mi ricordo come fosse ieri il tragitto in taxi da casa all'ospedale. Il sole caldo di quel pomeriggio e il mio vestito di lana neanche fosse stato novembre (sì, ero proprio suonata). Il pensiero "chissà a cosa sto andando incontro: potrei essere rispedita a casa nel giro di un'ora dopo aver fatto una figura barbina con le ostetriche oppure... che la sorte me la mandi buona". Forse, sotto sotto, qualcosa sapevo, perché ero terrorizzata ed eccitata, malinconica per quello che mi lasciavo alle spalle e armata di coraggio e felicità in vista di ciò che sarebbe arrivato. 

Quello stesso tragitto la sera di un paio di mesi prima con contrazioni in piena forza, la rassegnazione e un'anestesia emotiva generale. Il freddo di febbraio, le luci nella sera di Milano e la mia vita che sembrava prendere una piega fino a poco prima neanche sfiorata. Ne abbiamo passate tante insieme, piccolino, non possiamo separarci proprio adesso. Il ritorno da sopravvissuta. Gli arresti domiciliari. 

E quel pomeriggio di aprile rivivevo quei momenti, ma anche le ultime settimane di libertà di quell'aprile di nuova vita, di primavera delle aspettative. Tutti i film visti al cinema, i libri letti ai tavolini dei bar all'aperto, le parole scritte accanto a una finestra spalancata che inondava la casa di sole, le compagne di pancia che una dopo l'altra rompevano le acque, quell'uomo con cui ogni sera immaginavo che lo avrei svegliato dolorante proprio quella notte e che stava diventando il padre di mio figlio.

Se la mia gravidanza non è stata come avrei voluto, lo è stato il mio parto. Non che avessi aspettative o desideri più forti di altri. Pensavo solo che avrei chiuso gli occhi e che quella fase mi avrebbe traghettata verso una nuova vita. Un salto nel buio. Volevo solo la mia epidurale e l'ho avuta. E ricordo bene il momento in cui è finito l'effetto dell'anestesia, i vari "mai più nella vita" e "adesso mi rimetto addosso la mia giacca e me ne vado da qui, è stato bello ma adesso sto impazzendo... Ah non si può? Allora qualcuno mi aiuti! Come ora sono tutti fatti miei?". Chiudi gli occhi, finirà, per forza. Zitta e spingi. 

Alla fine lui. Completamente diverso da come lo aspettavo. Scuro, capellone, incredibilmente muscoloso e strabico. Quando me lo hanno messo addosso, le pelli calde a contatto e il "ciao" che non riuscivo a dire. Il senso di estraneità dei primi momenti e la gola colma di emozioni di poche ore dopo. Lui ed io sulla sedia a rotelle fuori dalla sala parto quando ormai si era fatta notte fonda. La stanchezza fin dentro le ossa e non riuscire a dormire. Mi dicevo "sono una mamma e ho appena partorito. Io..." e non mi credevo.

I giorni di degenza sono come avvolti in una bolla nei miei ricordi. Basta poco per bucarla e far uscire una commozione che non credevo possibile. Quella per cui quando capita di passare davanti alle finestre del reparto maternità dell'ospedale ci si deve girare dall'altra parte per non farsi travolgere.

Così sono passati 6 mesi da quei giorni. Mesi bellissimi e difficilissimi. Ancora adesso mi dico che sono una mamma facendo fatica a crederci.

Comunque sia, tanti auguri piccolino mio!


venerdì 19 ottobre 2012

Capo squadriglia a capo operazione...

... il pupo è addormentato.

Dove nel film Goldfinger è questo il codice con cui il capo squadriglia Pussy Galore comunica al capo operazione Goldfinger che tutto il personale addetto alla sorveglianza di Fort Knox è sedato con il gas disperso nell'aria dagli aeroplani, nel nostro piccolo cinema domestico il capo squadriglia è il lui grande della famiglia che, intorno alle ore 22, comunica a me, capo operazione indiscusso, che il pupo, cioè il lui piccolo della famiglia, finalmente dorme. E in questo periodo di film di James Bond ce ne facciamo una scorpacciata, proprio quando il piccino parte per il mondo dei sogni nel suo lettino e noi guardiamo la tv a volume così basso che attiviamo i sottotitoli per non doverci bisbigliare nelle orecchie ogni 2 frasi "cosa ha detto?".

Una sera sì e l'altra anche far addormentare questo pupo è più o meno un incontro di boxe. Ci provo io, ci provi tu, poi non ci prova nessuno e si lascia il pupo da solo nel lettino nella speranza che ci provi e ci riesca da solo, cosa che non accade praticamente mai. Anzi, quando sembra che sia quasi successo e noi, poveri illusi, stiamo portando alla bocca la forchetta per iniziare a consumare il nostro pasto diventato ormai gelido, dal piano di sopra si sente un cigolio: il nano che reclama soccorso. Allora si torna su, lo si prende il braccio cantando la canzoncina di Peter Pan che ormai è nella nostra hit parade da mesi, gli si danno pacchette sul sedere, gli si mette il ciuccio in posizione un centinaio di volte, si fa shhhhh, lo si culla, gli si dice "guarda che da grande avrai una lauta paghetta se adesso fai la nanna", lui cigola ancora, lo si riporta sul divano a fare un po' di ginnastica giusto per scaricare le ultime energie e fargli sfregare ancora un po' gli occhi gonfi e rossi per il sonno fortissimo a cui però per qualche ragione è impossibile cedere, si impreca un pochino... E poi si gira su un fianco, chiude gli occhi, sputa il ciuccio e dorme. E' quasi sempre così, a parte casi eccezionali in cui invece urla e piange con i lacrimoni prima di crollare improvvisamente in un sonno profondissimo.

Ma va benissimo così. Perché una volta scesi dal ring lui dorme. A volte russa. E tira fino alle 8 della mattina successiva, a volte più a lungo. Alcune mattine poi ci svegliamo prima che lui annunci al mondo di essere sveglio e lo troviamo nel suo lettino con gli occhi aperti intento a studiare approfonditamente mani e coperte senza fare ba, subito pronto a farti il sorriso più grande che ci sia. Altre invece si sveglia e pigola appena e con il solito sorrisone ti ringrazia per essere andata da lui per dirgli buongiorno.

Paradossalmente, ho scoperto che lui come tanti altri bimbi, più dormono durante il giorno, meno fatica fanno ad addormentarsi la sera e più a lungo dormono. Quindi la nostra fase critica dello sfregamento violento degli occhi a cui non segue automaticamente l'addormentamento come logicamente dovrebbe essere si ripete sia la mattina che il pomeriggio. Ma c'è da dire che ne vale la pena se garantisce notti tranquille e un bimbo arzillo e felice nelle ore di veglia. 

Insomma, è proprio un bravo piccino e insieme facciamo ogni cosa. Dal portarlo dal parrucchiere (per me, con conseguenze più o meno tragiche del genere "signora, cosa ne dice se non le faccio pagare la piega e le asciugo i capelli un po' alla buona? Il bambino sembra infastidito e comunque li abbiamo spuntati, era quello l'importante", quando per bambino infastidito intendiamo una piccola iena urlante -ovviamente finché non si esce dal negozio, appena tornati in strada torna a dispensare risate-) all'andare il ristorante il sabato sera, al visitare il museo dell'Acropoli ad Atene (sì, anche il museo...) al fare chilometri e chilometri a piedi e sui mezzi pubblici perché finché non ci sono il diluvio universale l'era glaciale e l'inversione dei poli e lo spostamento dell'asse terrestre non si può stare chiusi in casa. Questo comporta biberon somministrati ovunque (ad esempio nei parcheggi dei supermercati seduti su quelle specie di panettoni di cemento che avranno anche un nome che io però ignoro) e pannolini cambiati ovunque (ad esempio in Piazza del Duomo sotto i flash dei turisti giapponesi). Se penso a come ero intimorita la prima volta che lo abbiamo portato a passeggio nella carrozzina (nato di mercoledì sera, il sabato sera era già sui navigli ed è anche finito al ristorante) credendo che suo padre fosse un pazzo incosciente e che dovevo esserlo anche io se non mi ero accorta in tanto tempo di aver unito il mio destino a quello di un uomo che determinerà la fine precoce di nostro figlio e penso a come sono adesso... Beh, si sta molto meglio adesso. Anche lui gode di ottima salute (tiè, prima che succeda qualcosa) e insieme siamo molto felici.

Soon you'll grow so take a chance with a couple of kooks hung up on romancing...