lunedì 22 aprile 2013

Su Amsterdam e sul lasciare i figli

Come annunciato dall'ultimo post, di dieci giorni fa ormai, un venerdì mattina sono salita su un aeroplano e sono andata ad Amsterdam.




E' stata la mia seconda volta ad Amsterdam. La prima risale a 6 anni fa, ai tempi di una delle mie vite precedenti e nello specifico a quella in terra di Fiandre, quando in giornata da Leuven ero andata con una ben assortita combriccola nei Paesi Bassi: non avevo visto un granché, quindi. Ricordavo il Vondel Park nel sole tiepido di settembre e le casette sui canali, quelle che credevo essere solo limitate ad un centro turistico, e il mio stupore nel realizzare che invece gran parte della città è come una cartolina. 

Che dire, io in questi paesi che da italiana posso definire "nordici" mi sento un po' a casa. Sarà per via del periodo trascorso in Belgio, che mi ha dato una buona infarinatura della stessa lingua che nei giorni ad Amsterdam mi ha permesso di decriptare con una certa disinvoltura indicazioni utili per pedoni e ciclisti e menu nei ristoranti. Sarà che il tempo mutevole mi si addice e che il calore che mi trasmettono case e locali mi dà la rassicurante sensazione di una vita confortevole e serena, al riparo dal freddo delle strade. Saranno tutte quelle biciclette e la vista dello sfrecciare di famiglie a bordo di sidecar a pedali, di amiche che chiacchierano pedalando veloci, di anziani con una meta.  Sì, tutti mi sembravano avere una meta, una tappa di un quotidiano ricco ma lento, anche le barche che la domenica, al primo raggio di sole, spuntano dappertutto nei canali. Mi sembrava tutto avvolgente e piacevole, affascinante.



Sarà la lontananza dall'Italia, questo paese che ho imparato a guardare da lontano, con gli occhi dell'affetto e dello sconforto, dell'orgoglio e della rassegnazione, quelli attraverso i quali alcuni paesi europei sembrano miraggi di civiltà, progresso e trasparenza. E infatti da mamma notavo come fossero più giovani e numerose le famiglie che vedevo passeggiare per le strade rispetto a quelle che normalmente mi capita di incrociare normalmente, segno, a mio parere, di una società che, grazie ad un'evoluzione della mentalità, sa tutelare i valori più tradizionali e la vita delle persone per come la natura la intende. 



Ad Amsterdam sono andata sola con A., lasciando Alessandro a casa con i nonni. Non sono mai stata lontana da lui per un periodo così lungo, ben 3 giorni. Al ritorno, appena mi ha vista, mi ha fatto un sorriso grandissimo che partiva dagli occhi e arrivava ai piedini tutti eccitati, e mi ha teso le braccia per farsi stringere. Mi guardava, rideva e poi mi riabbracciava e così per un bel po'. E devo dire che è stato bellissimo, perché in quei giorni senza di lui io lo pensavo sempre, ma lo sapevo al sicuro e coccolato, riuscendo ad approfittare dell'emozione del viaggio, del nuovo attorno a me e delle possibilità che si aprono quando non si ha un bambino con sé. 

Alcuni commenti un po' pungenti sulla nostra scelta di non portare Alessandro in viaggio con noi mi hanno fatta riflettere. E' egoismo desiderare e prendere del tempo per sé? E' indifferenza e superficialità nei confronti delle esigenze di un figlio quasi unenne che di altro non ha bisogno se non della vicinanza dei genitori e in particolare della mamma? Io, che a differenza di tante altre mamme con cui mi capita di confrontarmi che si dichiarano incapaci di lasciare il proprio bambino anche per poche ore riesco a staccarmi da mio figlio, sono meno mamma? 

Tutti questi dubbi che mi sono stati messi in testa mi hanno resa insicura. Per certi versi, mi sembra di riprovare la sensazione amarissima che mi pervadeva quando in gravidanza sentivo parlare di "mamme diverse" perché rifiutavano di soffrire per il parto e sceglievano l'epidurale, perché avevano visto nascere i propri bambini con un taglio cesareo, o, nei primi mesi di maternità, perché non avevano voluto allattarli o si erano date presto per vinte davanti alle difficoltà di un allattamento doloroso e limitante. 

Il mito della super mamma rispetto al quale qualunque mamma non può che sembrare una mamma sgangherata mi trova in conflitto, perché riduce a elemento secondario l'amore che una mamma prova per il proprio bambino mettendo in primo piano l'elemento sacrificio, come se amore e sacrificio fossero la stessa cosa. Io la vedo più complicata di così, forse sbaglierò, ma resto sempre della mia idea: a ognuna la propria maternità, onesta e imperfetta.






giovedì 11 aprile 2013

Next stop...

"If travel is searching and home what's been found, I'm not stopping, I'm going hunting" (Bjork, "Hunter")

mercoledì 3 aprile 2013

LDN


Londra per la sensazione di essere al centro del mondo. Perché da ogni punto della città parte un percorso diverso per attraversarla e viverla, percorsi di secoli fa e di qualche giorno fa appena.

Londra per la drogheria libanese accanto al pub irlandese. Per il café che ti fa sentire a Parigi e i nomi delle fermate della metro in inglese e in punjabi. 

Londra per le sue città dentro alla città. Fotografare i nuovi grattacieli della City di pomeriggio e passeggiare per Marylebone la sera. 

Londra per sapere già in quale parte della città vorrò andare la prossima volta in cui tornerò. Perché in 3 giorni vedi tutto e niente e perché comunque quando riparti ti viene il "mal di Londra" e pensi già a quando la rivedrai.

Londra per il traffico del centro che si ferma per il passaggio di un corteo di pattinatori vestiti da coniglietti il giorno di Pasqua che spingevano con sé persone in sedia a rotelle e bambini addormentati nei passeggini (nonostante la musica assordante). Perché è una metropoli magnetica, di quelle "ma che ci abito a fare io in un'altra parte del mondo mentre esistono posti come questo?". 


Alessandro, il suo papà A. ed io siamo partiti il sabato mattina all'alba e siamo ritornati il lunedì sera (non ci abbiamo capito una mazza sull'orario dell'arrivo del nostro volo di ritorno a Milano tra fuso orario, ora legale, orologio mezzo scarico e telefono che forse si sincronizzava da solo ma anche no): giusto quel boccone che ti fa venire voglia di addentare tutto il panino. 


Su Londra ho già detto, anche se non è abbastanza. 


Sul viaggiare con bambini quasi unenni: si può fare, si torna indietro tutti vivi. Per quanto riguarda Londra, basta non prendere la metro con il passeggino perché ancora poche stazioni sono dotate di ascensori, a meno di non essere sposate con Big Jim che trasporta e non cerca aiuto altrui con occhio implorante mentre il sudore gli annebbia la vista. Per il resto c'è tutto. Se poi il tuo quasi unenne scalpita nel seggiolone per assaggiare hummus al ristorante greco e in aereo non si sveglia neanche con il frastuono del decollo ti rendi conto che i bambini sono più di mondo degli adulti. Poi vabbè, all'atterraggio il quasi unenne vomita tutto il latte della colazione addosso a se stesso e alla mamma, ma gli imprevisti possono capitare ovunque, no? 

Di fatto, non è la prima volta che portiamo Alessandro con noi in qualche zingarata: siamo già stati ad Atene e a Lanzarote, viaggi di cui vorrei scrivere presto. Con un po' di organizzazione si può fare e lo faremmo molto di più se potessimo (per il momento Alessandro non può esprimere un eventuale disaccordo, quindi per il momento vale la regola del silenzio assenso). Di solito fa bene a tutti. Anzi, guardando il Big Ben pensavo a quella canzone che ad Alessandro piace tanto, quella di Peter Pan che dice "con un allegro pensier puoi la gioia suscitar..." e mi dicevo che un giorno ripenserò a quella volta in cui Alessandro, A. ed io siamo stati a Londra che Alessandro ancora non camminava e faceva un freddo becco che ogni volta per uscire ci volevano 10 minuti di meticolosa preparazione antigelo e tutto mi sembrava tanto un allegro pensier.

venerdì 8 marzo 2013

Laboratorio creativo blabla

Ieri era una di quelle giornate della serie "ma che §#*&% possiamo fare oggi?". Pioveva, Alessandro sembrava avere un po' di raffreddore, ma pur sempre ben intenzionato a tirar giù la casa con le sue diaboliche pensate o a farsi più o meno male (niente di nuovo insomma). 

Così, poco dopo pranzo, mi sono collegata a internet alla ricerca di qualche spunto per quel pomeriggio. Cercavo qualche idea per far scatenare Alessandro e "rilassarmi" allo stesso tempo.
Idea mia: lo porto alla grotta di sale. No, anche no, è troppo scomoda e oggi non ce la posso fare.
Ma ecco che Milano e la rete mi vengono in aiuto: proprio quel pomeriggio, si sarebbe tenuto un laboratorio creativo per mamma e bambino organizzato da un centro che offre iniziative a misura di mamma. Chiamo subito e prenoto il nostro posto. Il laboratorio consiste nel "giocare con la sabbia". Non che questo centro fosse più comodo della grotta di sale, ma tant'è. 

La premessa non è delle migliori perché proprio ieri pomeriggio il nano decide che deve riprendere l'abitudine del pisolino pomeridiano. Accade quindi che si addormenta prima in braccio a me, poi collassa sul divano e infine si fa caricare sul passeggino apparentemente privo di sensi. Arriviamo al centro che lui russa. 
Veniamo accolti da un'educatrice con un sorriso che mi ispira subito simpatia e affidabilità. Allo stesso tempo, Alessandro resuscita. Noi e un'altra coppia mamma-bambina veniamo accompagnati nella sala in cui si sarebbe tenuto il laboratorio: la sabbia era di fatto farina gialla, quella della polenta, sparsa su un telone di nylon sul pavimento, con secchielli e palette per ricreare l'effetto spiaggia. Resto inizialmente un po' perplessa, ma conto che il piccolo non ci farà caso e darà libero sfogo al suo istinto devastatore. 
Si aggiungono altre due bambine, una accompagnata dalla tata e un'altra sia dalla mamma che dalla tata (e la guardia del corpo e la protezione civile no?). La prima prende sul serio la spiaggia e inizia ad armeggiare con secchiello e formine neanche si sentisse a Copacabana. L'altra invece vede Alessandro ed esclama "that's a baby!", con orgoglio della mamma, che nel frattempo era andata a farsi una secchiata non di sabbia ma di casi suoi con l'altra mamma presente oltre a me, e della tata filippina a cui era toccato anche giocare con la "sabbia" ("seeeee certo, la sabbia, come no" sembrava pensare).
Comunque inizialmente procede tutto bene: Ale gioca con il secchiello, poi cerca di strappare di mano il rastrello alla bambina super sul pezzo che risponde con un quasi riuscito tentativo di rastrellargli il naso, altro che la sabbia di Copacabana, ride e via andare. In generale, nessuna bambina se lo fila. Quindi lui inizia a volersi fare i casi suoi a sua volta, cioè va gattonando per tutta la stanza, preferendo naturalmente fare visita a tutte le prese in vista ed evitando accuratamente la sabbia. Però anche le altre bambine lo fanno dopo un po'. Anzi, una, con tanto di biscotto sbriciolante in bocca e mani sbavusciate, mi si avvicina pericolosamente come per strapparmi la collana, ma quando punta agli stivali (con copri scarpa) interviene la mamma: "nuuuuuoooo, non toccare gli stivali, sono sporchi!". E io che pensavo le dicesse: "no cara, non disturbare la signora". Che sciocca sono. 
Il tutto si conclude con Ale che per la stanchezza mi si arrampica addosso e prende in prestito la mia mano per stropicciarsi gli occhi perché è troppo distrutto per stropicciarseli da solo e le altre mamme che parlano di pappe al farro (anzi, favvo, una r che era una v mica da poco) e delle malattie dei bambini delle loro amiche che lavorano e, povevette, sono costrette  a mandare i bambini al nido, non ci dovmo la notte al pensievo delle malattie che la bambina pvendevà alla matevna (forse la tata non ci dorme la notte) e delle due settimane di vacanze in montagna che le aspettano che sono una veva vottuva pevchè con la bambina cosa vuoi fave, passeggiate e nient'altvo.
Alessandro comunque sembra essersi divertito e in generale anche io, quindi la settimana prossima lo riporterò. Diffiderò di quella con i capelli all'indietro e il cerchietto leopardato (ah no, sarà in montagna). Il tema sarà il gioco con i colori (non ci dormo già la notte all'idea del successivo lavaggio dei vestiti).

Ieri sera farlo addormentare è stato un incontro di pugilato durato due ore, una serie di colpi bassi tipo dita nelle narici, piegamento della stanghetta dei miei occhiali e strappo dei capelli. Deve essere quella medicina che ci ha prescritto la pediatra qualche giorno fa (e te pareva che a noi non doveva capitare l'effetto collaterale poco diffuso). 
Si è addormentato nel lettone con me (e forse mi sono addormentata io prima di lui), ma poi ha dormito da solo nel suo lettino fino alle 6. Addirittura. 

E detto ciò, buona festa della donna a tutte e tutti. 
Per festeggiarmi, oggi a pranzo mi sono preparata pollo al curry con riso basmati e delle piccole tarte tatin (peccato che le mele si fossero attaccate alla formina e quindi il momento del ribaltamento non è stato proprio un momento di alta cucina), un bicchiere di vino rosso e auguri. Ho cucinato con Alessandro attaccato alle caviglie, quando non era occupato a ribaltare il cestino del pane e a disperdere per tutto il pavimento le briciole (che ha tentato di leccare varie volte), quindi non è stato molto rilassante, ma me lo dovevo. 
Chissà che stasera il mio ometto come mimosa non mi regali un addormentamento non dico facile, ma meno difficile del solito...

martedì 5 marzo 2013

Medicina creativa

Ok, prima la buona notizia. 
La buona notizia è che la visita di controllo con la pneumologa di questa mattina è andata benone. Alessandro non rantola più come un vecchio fumatore di sigari cubani e l'elenco dei farmaci con cui dovrà curarsi si è drasticamente ridotto.

Oh yeah!

Ora la cattiva. La cattiva notizia è che quelle due sole medicine che deve continuare a prendere, mattino e sera, per 40 giorni una e per 90 giorni l'altra, sono potenzialmente eccitanti (NB. In caso di tosse secca, il primo farmaco deve somministrarsi alle dosi più alte come all'inizio della terapia, quindi se al giorno 39 pensi di vedere la luce in fondo al tunnel ma parte la tosse secca, trac, devi ripartire dal via). 
Ora, ho appena scoperto che uno dei farmaci che già assume da una settimana altera il sonno e l'umore, non nel senso che fa dormire e fa vivere quietamente una vita serena (a tutti), ma ovviamente nel senso contrario: Alessandro ormai non sa più cosa sia il pisolino del pomeriggio. E il lettino...? Cos'è più il lettino? Quell'aggeggio che sto pensando di mettere in vendita su ebay? Ormai dorme solo con me e possibilmente ADDOSSO a me. Sarà il trauma dell'ospedale, i farmaci, boh. 
Comunque insomma, a quanto pare la bustina che ogni sera dovrà sciogliere nella pappa/yogurt/omogeneizzato per 3 mesi in alcuni casi rende inquieti i bambini. Ah, ma se la situazione andasse un po' tanto fuori controllo si potrebbe cambiare farmaco. E 'sti ca... Non possiamo dargli prima l'altro farmaco invece di rischiare di impazzire tutti quanti?

Se in gravidanza dicevo: in un'altra vita, farò la ginecologa
Se fino a poco fa dicevo: in un'altra vita, farò la pediatra
Adesso dico: in un'altra vita, farò la pneumologa. O l'esorcista.

Stasera quindi si inizia e come al solito che dire, io speriamo che me la cavo.

In ogni caso, stamattina Alessandro (che ormai tutti chiamiamo Aie perché è così che lo chiamava la nostra piccola compagna di vacanze natalizie) ha fatto anche il prelievo del sangue in ospedale ed è andata così bene che alla fine ha ricevuto anche il diploma di grande coraggio con il voto "super bravo". 
Queste sì che sono soddisfazioni!!