sabato 8 dicembre 2012

L.O.V.E.

Qualche giorno fa un'amica mi ha mostrato una fotografia scattata dal suo compagno durante la nascita della loro figlia: sono ritratte le loro mani che si stringono. E' una foto in cui la luce arriva appena, di quell'oscurità un po' mistica che fa sembrare le forme dipinte, che lascia intravedere il "miracolo" pur lasciandolo avvolto in una sorta di mistero, come se la sua grandezza fosse inaccessibile. Un angolo di mondo in cui oltre alle dita si stringono dolore e gioia, amore e vita, la storia di due persone e l'infinita storia del mondo che si ripete. L'attimo tra il passato e il futuro che con il tempo sfugge, pur essendo quello in cui tutto cambia e si trasforma. 

L'iperreale (cosa c'è di più iperreale di un parto?) che svela la commozione più profonda.

Mi ha emozionata. Non subito, ma a posteriori. 

Di quel punto di non ritorno che è stato la nascita di mio figlio non ho molti ricordi, eppure ci penso spesso. E' stato come se lo avessi vissuto dietro a un vetro, da spettatrice. Il costante istinto di fuga da quel momento, come se fosse stato possibile, sperando fino all'ultimo di poter esercitare il controllo sugli eventi che stavano correndo da soli in modo irreversibile e premere "stop". Il rifiuto, folle, dell'iperrealtà. 

Così è stata un po' tutta la mia gravidanza. Sognata e desiderata, ma anche una finta e un gioco, un abbandono incompleto, un viaggio vissuto giorno per giorno tra negazione e accettazione della mia incapacità di dare risposte alle mie tante domande. "E' umano", mi dicevo con indulgenza, salvo poi scoprirmi sfasata rispetto alla mia stessa esperienza e in affanno nel vano tentativo di recuperare. Iperrealtà, dicevo, e non accorgersene, o non volersene accorgersene.

Così forse è per questo che l'immagine delle due persone che si accompagnano verso il futuro tenendosi per mano mi ha colpita, perché mi è sembrato prezioso poter guardare ogni tanto al momento in cui si è consumato il salto. Lo stesso in cui da qualche parte dentro di me è finalmente arrivato il coraggio.

La mia gravidanza nei miei pensieri è come quella di un'altra donna, non la mia. Il mio parto come quello di un'altra donna, non il mio. Forse io ero davvero un'altra persona. Io sono nata come mamma insieme a mio figlio. Non prima, ma ancora adesso, ogni giorno. 

L'amore? Anche ciò che si pensa essere accaduto improvvisamente non è altro in realtà che il culmine di un processo graduale, ma so che l'amore è "esploso" di notte, con il passare delle ore (poche) dall'attraversamento del ponte che dal prima mi ha condotta al dopo e poi dei giorni e poi ancora dei mesi. Amore è ancora sinonimo di coraggio.

E forse poco importa che ancora non sappiamo da dove siamo venuti. Quel che conta è l'amore e che il nostro è un amore felice.






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